Una storia triste, dolorosa, fatta di tanti avvenimenti che hanno profondamente segnato la vita e la mente di tanti nostri concittadini; una storia che va raccontata per far conoscere alle nostre moderne generazioni i valori di tanti loro concittadini che hanno pagato, in alcuni casi anche con la vita, la loro inesauribile voglia di progredire, il loro costante desiderio di progresso umano e sociale; è una storia che evidenzia coraggio, forza d’animo intrisa di tanta solidarietà e fratellanza: è la storia dei nostri minatori. Il Comune di Motta San Giovanni ha pagato un prezzo altissimo in fatto di perdite umane; 35 le vite spezzate sul lavoro, alcune delle quali in una serie di disgrazie che hanno, sfortunatamente caratterizzato la storia dell’attività mineraria italiana e anche mondiale; 583 i morti invece per silicosi e malattie cardiorespiratorie legate al lavoro svolto in miniera o in galleria.
Numeri che servono a riflettere sulle tristi e misere condizioni lavorative di queste persone, alcune delle quali poco più che ventenni. (…) A partire dal 1946, l’emigrazione di tanti uomini che lasciarono il nostro paese per andare a lavorare nelle miniere o nei grandi cantieri che in quel periodo andavano progressivamente sorgendo nel nostro Paese, fu per il nostro Comune, un fenomeno di massa, che interessò dapprima il territorio nazionale e poi quello internazionale. (…) Una vera specializzazione quella del nostro minatore che negli anni seguenti la fine della Seconda Guerra Mondiale lasciò il suo paese natio, la sua gente, i suoi famigliari andando incontro al proprio destino, a volte avverso e malvagio, altre invece benevolo. Esaminando e studiando alcuni dati infatti, non si può non cogliere l’elevato numero di emigrati mottesi e lazzaresi che si distinse nella particolare attività del lavoro in miniera e nella realizzazione di trafori e gallerie. (…) E’ innegabile infatti che proprio questo grande esodo di braccia abbia contribuito in maniera determinante al cambiamento storico-economico e socio-culturale del nostro paese orientandolo così, in maniera definitiva, verso la modernità che noi tutti oggi quotidianamente viviamo e prova di ciò possono essere considerati i tanti posti di lavoro ottenuti, i tanti nostri concittadini divenuti validi professionisti grazie al sacrificio dei loro padri che hanno in miniera lottato e creduto nel loro ideale per un futuro migliore. Una modernità però costata molto ai nostri minatori che in tanti casi hanno pagato con la stessa vita, vittime di gravi incidenti, vittime delle grandi sciagure oppure “consumati” lentamente dalla malattia contratta sul lavoro. (…)
Furono infatti numerosissimi i nostri concittadini che si spostarono in tutta Italia tra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta per la costruzione di quelle gallerie simbolo del nuovo progresso che interessava il nostro Paese, di quel nuovo modo di modificarsi della società italiana che dava così l’avvio ad una nuova epoca segnata dalla nascita della “modernizzazione” sociale. E sempre dall’analisi dei dati, emerge anche che tra il 1950 e il 1960, ben il 12% dei decessi relativi alla popolazione maschile avvenuti sul nostro territorio comunale sia stato a causa della silicosi; a questi numeri vanno esclusi coloro che sfortunatamente sono morti fuori il nostro Comune e che quindi non rientrano nei dati anagrafici comunali. (…) Una vita misera, fatta di tante privazioni e di duri sacrifici, basti pensare alle precarie condizioni di lavoro, rese ancor più impossibili da turni estenuanti sotto la pressione della continua minaccia rappresentata dalla massa rocciosa sovrastante e soprattutto con il costante pensiero nell’animo con il quale chi lavorava in miniera o in galleria conviveva, e cioè la consapevolezza di possibili cedimenti e crolli, gas velenosi ed esplosioni e la possibilità quindi non vedere più la luce del sole. Sui cantieri poi i problemi erano rappresentati dalla pessima igiene e dal sovraffollamento degli alloggi, oltre che da un’alimentazione minima, monotona e spesso inadatta a reintegrare le energie spese durante la faticosa giornata lavorativa. (…) Troina, Termini Imerese, Bolzano, la realizzazione di alcune gallerie lungo l’Autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria come quella nel territorio di Scilla nei cui lavori di costruzione l’operaio Pietro Ligato rimase sepolto a causa di un crollo improvviso ma che riuscì a salvarsi miracolosamente dopo tre giorni di lavori di scavo tra il materiale di crollo assistiti dall’allora sindaco Davide Catanoso che rimase sul cantiere ininterrottamente fino alla fine delle operazioni di salvataggio del proprio concittadino, Montemurro in provincia di Potenza, il Sempione, le cave e le miniere in Sardegna, il traforo del S. Bernardo, Marcinelle in Belgio, la Germania, il traforo sulla diga di Kariba solo per citare alcuni dei luoghi più rappresentativi che hanno visto la presenza lavorativa dei nostri minatori. Figure umane importanti come quella del dott. Benedetto Mallamaci e del dott. Bruno Attinà che hanno svolto un ruolo decisivo nel riconoscimento di tanti diritti ai malati di silicosi che hanno lavorato nelle miniere, nelle gallerie, nei grandi trafori.