Il territorio del Comune di Motta San Giovanni con una superficie pari a 46,73 km², è situato sull’estrema punta della penisola italiana, immediatamente a sud della città di Reggio Calabria col cui ambito comunale-amministrativo confina, dalla quale dista circa 17 km e della cui “Area Metropolitana dello Stretto” risulta essere una parte integrante. Sorge in una posizione assolutamente panoramica, a dominio dello Stretto di Messina coronato dall’Etna che svetta maestoso sullo Ionio meridionale e dai primi contrafforti aspromontani. Nell’antichità, cosi come ai nostri giorni, questo territorio ha costituito e costituisce la porta d’accesso al versante meridionale della provincia reggina, la Bovesia, quel territorio di confine nel quale la storia sembra davvero essersi fermata e nel quale ancora oggi sopravvivono usi, tradizioni e cultura degli antichi “Padri” accumunati da una sola lingua: la lingua dei “Greci di Calabria”.
Orograficamente il territorio comunale è costituito da una serie di colline che degradano dai rilievi aspromontani verso il mare in un continuo ondeggiamento di forme e colori. Un luogo questo, con un illustre passato testimoniato dalle importanti evidenze storico-archeologiche, linguistico-culturali ed artistiche in genere, che inequivocabilmente dimostrano la centralità della Calabria e della Provincia reggina in modo particolare, nell’evolversi delle varie vicende storico-culturali che hanno interessato la storia dei paesi in riva al Mediterraneo i cui riflessi sono presenti ancora oggi nel nostro vivere quotidiano. Una presenza umana risalente probabilmente al Preistorico, la colonizzazione greca, la dominazione romana, la caduta dell’Impero Romano D’Occidente nel 476 d.C., l’arrivo dei bizantini, il Monachesimo calabrese, i Normanni, gli Angioini, gli Aragonesi e gli Svevi solo per citare alcuni dei passi più importanti della storia di questi luoghi affacciati sulle meravigliose ed affascinanti acque dello Stretto. I primi fermenti storico-insediativi ben documentati dalle fonti si ebbero sulla costa, a Lazzaro, poi nei secoli successivi, furono le “Motte” a giocare un ruolo di primo piano negli avvenimenti storici che segnarono la vita di questi luoghi. Lazzaro, corrispondente all’antica Leucopetra con uno spazio territoriale compreso probabilmente tra la rada di Pellaro e il territorio di Saline, rappresenta il primo indizio abitativo di questo territorio. Un piccolo villaggio situato sul pianoro di Capo D’Armi, al cui ambito si accedeva percorrendo la strada costiera che partendo proprio da Rhegion costituiva il principale asse viario della zona, congiungendo in epoca magno-greca, la città con il versante ionico meridionale e con tutti i centri in esso disseminati. Ai tempi di Cicerone, sorgeva, proprio presso il territorio di Leucopetra, una signorile villa appartenuta a Publio Valerio, patrizio reggino, e a darci notizia di ciò è lo stesso oratore romano nelle sue Filippiche. Gli storici Appiano e Cassio Dione ci documentano invece come le coste dell’estremo lembo della Calabria furono oggetto di crudeli scontri nel corso del 42 a.C. tra Salvidieno Rufo, luogotenente di Ottaviano e Sesto Pompeo per il controllo dell’intera area dello Stretto. Alcuni ritrovamenti archeologici ci testimoniano anche la probabile presenza di una comunità ebraica qui’ stanziatasi tra il IV ed il VI sec. d.C. con un attivo porto commerciale. Tra il 410 e il 436 d.C. le invasioni dei popoli barbari che ormai avevano ampiamente raggiunto anche la Calabria e le due sponde dello Stretto, determinarono lo spopolamento delle coste e il conseguente spostamento verso le aree collinari e d’altura decisamente meno accessibili e quindi più protette. La Caduta dell’Impero Romano d’Occidente avvenuta nel 476 d.C. determinò una fase di forte instabilità politica, economica e sociale che decretò il lento spopolamento dei centri costieri ed il progressivo sviluppo dei centri d’altura. Solo nel 536 d.C., nel momento in cui l’imperatore Giustiniano annesse la Calabria all’Impero Romano d’Oriente la vita sociale ed economica manifestò una buona ripresa. Si rivitalizzarono con una certa intensità gli scambi commerciali con l’Oriente e si manifestò anche una ripresa della vita culturale al punto che l’imperatore bizantino Leone III Isaurico nel 732 – 733 d.C. decise di aggregare alla chiesa greca tutti quei territori nei quali si ravvisava in modo evidente un elevato grado di acculturamento sociale con il resto del mondo bizantino. E sempre tra il VI e il VII sec. d.C. il nostro territorio fu al centro di un intenso movimento migratorio di popolazione proveniente dall’Asia Minore che si riversò sulle nostre coste per scampare all’invasione Araba. Numerosi monaci raggiunsero la Sicilia e la Calabria cominciando a diffondere il loro credo religioso, dedicandosi alla preghiera, alla vita ascetica e contemplativa. Questi monaci diffusero tra le masse popolari la cultura e la spiritualità bizantina, edificarono numerosi centri di cultura salvando così dalla distruzione codici, immagini sacre, opere d’arte, introdussero la coltura del gelso, l’allevamento del baco da seta e contribuirono alla ripresa economica di un territorio già culturalmente ricco. Nel nostro territorio sotto l’impulso del rito greco-ortodosso nacque il Monastero di S. Giovanni Theologo nel quale vennero ricopiati alcuni importanti codici membranacei. Oltre al monastero del Theologo, tra il X e il XVI secolo, sorse anche sulle nostre alture un cospicuo numero di chiesette a navata unica alcune delle quali affrescate con dipinti di particolare rilievo iconografico. Nel 920 la Sicilia cadde definitivamente nelle mani degli Arabi che attaccavano le popolazioni costiere con ferocia e determinazione. Le coste dell’estremo lembo della nostra regione furono quasi abbandonate; la poca gente ancora rimasta si era ormai rifugiata nei centri collinari dando così vita a insediamenti militari e di controllo territoriale. E’ in questo particolare contesto storico che venne edificato il Kastron di S. Niceto, un baluardo militare a difesa dell’intera area Stretto nel quale risiedevano soldati della guarnigione lì di stanza con le loro famiglie e funzionari militari. Se i dati storici ci forniscono elementi più certi in merito alla nascita di Lazzaro (Leucopetra) la cui origine pare essere ben documentata già in epoca greca, anche se è possibile ipotizzare sulla base di altri dati, una frequentazione umana del sito anche in epoca preistorica e protostorica, non del tutto chiare sono le origini di Motta San Giovanni. E’ assolutamente ipotizzabile che il primo nucleo urbano sorse alcuni decenni prima del 1500 a seguito della distruzione del kastron di S.Niceto, intorno al monastero di S. Giovanni Theologo essendo i monasteri divenuti luoghi non solo di culto ma anche di aggregazione sociale e di sviluppo economico. Tuttavia l’esistenza di una serie di notizie relative ad un assedio condotto su questo territorio da parte di Alfonso Duca di Calabria nel 1452, indurrebbe a ritenere l’esistenza di un villaggio già prima della caduta stessa della fortezza di S. Niceto. Relativamente al toponimo Motta i dati storici ci rimandano al periodo angioino nel momento in cui, nel corso del XV sec., sono particolarmente attivi gli scontri tra gli angioini stessi e gli aragonesi per il controllo sul Regno di Napoli. Infatti pare accertato ormai che la popolazione abitante intorno l’area di S. Niceto andò ad ingrossare l’abitato di Motta San Giovanni. Nel 1571 una flotta di 59 galee appartenenti alle potenze occidentali che avevano partecipato alla celebre Battaglia di Lepanto giunse nelle immediate vicinanze di Capo D’Armi dove vi gettò le ancore rimanendovi in stazionamento per alcuni giorni dal 20 al 23 di luglio. Durante la fase del dominio aragonese, il nostro territorio fu omaggiato della visita di Carlo V. Da questo momento in poi tutti i centri abitati furono infeudati; stessa sorte toccò all’area mottese. Fu questo un periodo di tristezza e di miseria, di scarsa produzione agricola e di pestilenze a tal punto che l’umanista reggino G. Barrio scrisse:«questa regione è piena monstri, cioè di regoli e tiranni, i quali la saccheggiano e la tiranneggiano…». Nel 1561 Motta San Giovanni e il suo territorio divennero proprietà di G. Minutolo, nel 1565 passò nelle mani di T. Marionnet; dal 1576 al 1604 fu dei Villadicane e in seguito, solo per pochi mesi, passò nelle mani di M. Joppolo e nel 1605 divennero infine proprietà dei Ruffo che lo detennero fino al 1806 circa momento in cui venne abbattuta definitivamente la feudalità. Nel frattempo, dal punto di vista architettonico, l’intera regione, già a partire dalla metà del secolo XVI sotto il dominio Aragonese, ha subito il fenomeno edificativo della costruzione delle torri costiere con l’obiettivo preciso di proteggere i centri abitati dalle razzie dei turchi. Nello specifico si trattò della costruzione di una serie di torri costiere a diretto contatto visivo tra loro ubicate su alture a media inclinazione o sporgenze dirette sulle coste che avevano il ruolo di segnalare un eventuale attacco nemico. Una di queste torri era stata eretta nel corso del XVI sec. sul pendio di Capo D’Armi; oggi purtroppo, di questo baluardo strategico-militare, non resta quasi più traccia. Si arriva così di passo in passo al pieno Ottocento secolo nel quale un riscritto reale datato 1827 favorisce l’acquisizione statale o privata delle rimanenti strutture. Nel 1799, i Francesi, sotto la guida del generale Championnet instaurarono la Repubblica Partenopea e come conseguenza di ciò Motta divenne Cantone della città di Reggio. Con la legge n° 19 del 1807, Motta, divenne Università del Governo di S. Agata di Gallina; un successivo decreto del 1811 inerente il riordino dei Comuni, aggregava a Motta la frazione di Pellaro e riconfermava la sua appartenenza giurisdizionale a S. Agata. Un decreto del 12 febbraio 1834 sottraeva a Motta la frazione di Pellaro e con un decreto del 21 settembre 1859 gli veniva aggregato il vicino villaggio di Serro Valanidi. La storia dei primi anni del ventesimo secolo è segnata dal tragico terremoto-maremoto del 1908 che si abbatté su tutta l’area dello Stretto con una forza inaudita seminando morte e desolazione. Infatti il 28 dicembre del 1908, erano le 05.21 del mattino, un forte sisma, preceduto da un grande boato, scosse violentemente tutti i territori costieri della Sicilia e della Calabria. Una scossa del 7° grado sulla scala Richter distrusse completamente Reggio e Messina. I sismografi evidenziarono fin dal primo momento, la grande intensità delle scosse senza consentire agli specialisti di individuare con certezza la specifica localizzazione. Si potevano solo immaginare i danni provocati da un sisma di quella intensità. Relativamente al Comune di Motta San Giovanni, dallo studio di alcuni documenti d’archivio conservati presso l’ ASRC, apprendiamo che il Comune è censito tra quelli che hanno subito danni notevoli relativi all’intero abitato e ciò è facilmente comprensibile in virtù del fatto che la zona più colpita fu proprio la zona costiera nella frazione di Lazzaro dove l’evento tellurico fu accompagnato dalla forza distruttrice del maremoto. La popolazione comunale contava allora 3714 abitanti; di cui 1259 a Lazzaro dove i morti furono 174 e i feriti 400, a Motta su 2455 abitanti si contarono 87 vittime e 200 feriti. Dopo breve tempo, con l’ausilio di alcuni plotoni dell’esercito stanziati sul territorio comunale, iniziarono gli interventi di sgombero delle macerie e la lenta ricostruzione. Il processo di riedificazione del territorio comunale durò molti anni, dai primi anni del ’20, fino ai primi anni ’80, ridisegnando il volto moderno del nostro paese. Il corso del secolo, sotto il profilo storico e sociale, è inoltre segnato dall’emigrazione. Una data importante ha segnato la storia del Comune mottese: il 1946. Infatti a partire da quell’anno un rilevante numero di nostri compaesani si distinse per il lavoro nelle miniere e nella realizzazione di importanti gallerie e trafori. Una vera specializzazione quella del “minatore mottese” che sfortunatamente il nostro territorio ha pagato a caro prezzo; un elevato numero di morti sia per le disgrazie avvenute sul posto di lavoro che per la silicosi, la malattia causata dalla polvere depositata nell’albero bronchiale. I nostri minatori furono presenti nei luoghi più tristi e lontani: il Sempione, il traforo di Kariba solo per citare alcuni esempi. Una bella storia che merita di essere conosciuta e tramandata alle future generazioni quella della nostra terra, caratterizzata dalla cordialità e dall’accoglienza dei suoi abitanti, che offre beni culturali importanti, tradizioni gastronomiche comuni a tanti paesi del Mediterraneo, una montagna alquanto misteriosa e suggestiva, un mare limpido e un clima dolce e mite quasi tutto l’anno.